SERIE: Hellsgate Chronicles
NUMERO: 01
GENERE: Horror // Survivor // Humor
PAGINE: 41
PREZZO: 0,99 €
VENDITA: Amazon - laFeltrinelli
SINOSSI:
Un survivor Horror zeppo di zombie:
C’è un luogo, in America, dove tutto è possibile…
Benvenuti a Hellsgate, dove l’ospitalità della gente, la prelibatezza culinaria e la tranquillità che ivi si respira, vi faranno desiderare di restare in eterno.
Breanna e Ivan hanno attraversato ben due stati per arrivare in tempo alla più folle festa di Natale mai vista. Nonostante gli umori non siano dei più gioiosi rimanere a casa per Natale è fuori discussione.
La parola d’ordine è: divertimento!
Almeno questo dice il loro vademecum su come godersi le vacanze invernali, una serie di indicazioni scritte senza tener conto degli imprevisti…
Varcato il confine di Hellsgate, un piccolo paese che non compare nemmeno sulle cartine stradali, un uomo a piedi taglia loro la strada e l’incidente è assicurato.
Da qui l’avventura avrà inizio, chiusi in un ospedale di un paese sperduto, assediati da creature urlanti e affamate.
Risate, colpi di scena, tensione e sangue… a galloni!
A very Undead Xmas apre il filone di Hellsgate Chronicles, una serie di racconti brevi horror ambientati nella nostra cittadina preferita, che per il momento rimarrà un po’ nascosta ma si farà notare dai prossimi episodi.
Allora, siete pronti a conoscere Breanna e Ivan?
Le risate sono assicurate!
ESTRATTO: Da quante ore erano in viaggio?
Ormai aveva perso il senso del tempo e il suo culo si era
modellato sulle forme del sedile passeggero.
Pioveva a dirotto; dal parabrezza era difficile distinguere le
strisce che dividevano la strada in corsie. Enormi goccioloni cadevano, come kamikaze sul vetro zuppo e a poco valeva il lavorio del tergicristallo che li rincorreva da parte a parte...
ma era Natale, perciò categoricamente vietato rimanere a casa.
Ivan l’aveva incastrata per bene, invitandola a una stupida festa per universitari nonostante entrambi avessero superato da tempo l’età consentita per fare cazzate.
Breanna si sistemò sul sedile passeggero, affondandovi con l’espressione tronfia di chi si sente troppo intelligente per fare certe cose. Il lettore CD dell’auto si accese in quel momento, sputando dagli altoparlanti delicati gorgheggi femminili assieme ad allegre note pop.
Piegò leggermente il viso, osservando l’amico con la coda dell’occhio, sorprendendolo nel preciso istante in cui il suo corpo ondeggiava al ritmo di quella musica da suicidio. L’acuto che in sincrono emise assieme alla ragazza del CD, la fece scoppiare.
«Cosa stai facendo?» Domandò acida.
«Sto cantando, mi sembra ovvio».
«Questa roba?» Rincarò, sempre più caustica.
Ivan annuì vigorosamente, sfoderando uno dei suoi famigerati sorrisi ammaliatori, armi predilette per rimorchiare in discoteca. Quel sorriso fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Spinse il tasto che espelleva il CD dal lettore, prese il disco argentato, aprì il finestrino e lo gettò fuori.
«Ehi!» Ivan strillò, perdendo di vista la strada solo per pochi secondi.
«Ti ho fatto un favore, Ivan». «Ma quella era Taylor Swift!»
Breanna rimase in silenzio mentre lentamente tirava su il finestrino, guardando l’amico in cagnesco, lasciandosi sfuggire nauseata un sospiro.
«Tu guardi troppi telefilm, ti fottono il cervello. Come quella serie... come si chiama? Glee? Ecco, sei Glee-
dipendente, insomma ti sei visto? Non puoi ballare e cantare come una ragazzina. Sei un uomo!»
Ivan la sfiorò con uno sguardo intriso di superiorità.
«Questo cosa c’entra? Taylor Swift è la regina del pop, una dea scesa tra noi comuni mortali e come tale deve essere venerata. La sua sola esistenza rappresenta arte». Chiarì, tornando a fissare la strada sotto lo sguardo inquisitorio di Breanna.
«Senti, farò finta di niente e non ti dirò nulla a riguardo e, ah! Certo, domani ricordami di illuminare la tua vita iniziandoti al mondo della vera musica ma... a parte il fatto che è Natale e noi siamo chiusi nella tua scatola per sardine che va a una velocità pari a quella di una formica, mi spieghi perché mi hai costretta a vestirmi come una puttana?»
Ivan non rispose, si limitò a stringere le mani sul volante. Secondo Breanna quel gesto non prometteva nulla di buono ma dopo un lungo respiro, il ragazzo sembrò aver recuperato il suo buonumore.
«È per questo che sei così acida questa sera? Comunque te l’ho già spiegato, Victor ha organizzato una festa in maschera quindi ti ho costretto a indossare un costume. È una festa a tema, capisci?»
Oh, una festa a tema... Breanna abbassò lo sguardo sugli Hot Pants in lattice nero, le calze a rete e gli stivaloni da dominatrice sadomaso, evitando accuratamente di portare la sua attenzione verso l’alto, oltre la vita.
«E fammi capire, il tema della serata sarebbe “A Natale siamo tutte più puttane”?» Sorrise sardonica, «Poi perché diavolo tu sei vestito da prete?» Sollecitò.
«Io interpreto la parte di colui che ti ha raccolto dalla strada e vuole riportarti sulla retta via». Rispose Ivan prontamente, lasciandosi andare subito dopo a una risata divertita.
La serata si preannunciava un vero disastro, se non fosse stato per il suo pessimo umore già cavalcante, ci avrebbero pensato gli invitati, sicuramente ubriachi fradici, a rovinarle la festa. Vestita a quel modo poi, non poteva che attirare un genere solo di uomini, quelli della peggior specie.
Per l’ennesima volta affondò nel sedile, con le braccia strette al petto e un cipiglio velenoso stampato in viso. Solitamente lei era un tipo solare, tutta risate e battute ma quella sera non aveva voglia di ridere e divertirsi e non aveva voglia nemmeno di attraversare due stati per ritrovarsi a un festino pieno zeppo di universitari con l’ormone sciolto.
«Se non fosse per tuo fratello Marcus, non sarei venuta». Ivan la guardò di sfuggita, accigliandosi «Marcus? Non avevi detto che saresti venuta per farmi da spalla con
Victor?»
Victor, giusto! Pensò Breanna.
Lei e Ivan erano amici fin dall’infanzia. Le loro madri ricordavano con tenerezza come i loro bambini avessero mosso i primi passi assieme o detto la prima parola a distanza di pochi attimi l’uno dall’altro. Avevano sempre vissuto in simbiosi, come nati dallo stesso utero. Breanna iniziava a camminare, Ivan faceva lo stesso; Breanna piangeva, Ivan anche. Breanna cresceva e provava sulla pelle i primi germogli dell’amore adolescenziale e Ivan le era sempre alle costole. Breanna si dichiarava a colui che, da sempre, era stato la sua anima gemella ma... Ivan non ricambiava. Quello si era rivelato essere l’unico momento di disaccordo tra loro due.
Da ragazzina si era presa una cotta fotonica per Ivan, di lui e della sua risata contagiosa, del suo spiccato senso dell’umorismo e dell’innata inclinazione per la moda, della sua perspicacia e intelligenza.
Anche quando Ivan era entrato a piè pari nell’età adolescenziale, facendo a pugni ogni giorno con orde di brufoli che conquistavano, passo passo, lembi di pelle sempre più grandi, anche quando lo avevano costretto a mettere gli occhiali da vista (due fondi di bottiglia orribili che lo facevano somigliare a un topo di biblioteca), anche in quel periodo lei lo trovava bellissimo. Ma lui, nonostante le volesse bene, non poteva ricambiare il suo amore e quando Breanna si dichiarò, Ivan si fece forza e le confessò quello che all’epoca, per un ragazzino con già grossi problemi di autostima per via dell’aspetto, riteneva essere una vergogna indicibile: a Ivan piacevano gli uomini.
«Intendiamoci, vuoi davvero che ti stia alle costole mentre provi a infilarti nei boxer di Victor?»
«Non voglio infilarmi nei suoi boxer!» Protestò lui, infastidito.
«Certo, come no. Comunque, non mi va di reggere il moccolo per tutta la serata». Concluse Breanna, cancellando l’amarezza dei vecchi ricordi che si affacciavano alla mente.
A volte si chiedeva come sarebbe andata tra di loro se Ivan avesse accettato i suoi sentimenti ma probabilmente era stato meglio così, un’amicizia simile non era barattabile con nessun’altra relazione di tipo sentimentale.
Breanna alzò lo sguardo sulla strada.
I fari della macchina si perdevano nella nebbia; com’era
possibile che la nebbia scendesse mentre pioveva? Pensò distrattamente.
«Ci siamo quasi. Oltre questo paese dovremmo avvistare lo svincolo per l’autostrada».
Ivan indicò una vecchia insegna che riportava scritto il nome del piccolo abitato.
La macchina la superò lentamente, illuminandone la lamina; Hellsgate, quello il nome della ridente cittadina.
«Che nome di merda. Come si fa a chiamare un paese Cancelli dell’Inferno?»
Ivan scrollò le spalle, passandosi una mano tra i capelli biondi, prima di cambiare marcia.
«Che ne so, loro potrebbero dire la stessa cosa di... mh, Los Angeles. Tuttavia, per tornare al discorso di prima, mio fratello è fidanzato».
«Non sono un tipo geloso»
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